Scopri qui di seguito le Poesie sui Cani: i versi più belli e affettuosi per il miglior amico dell’uomo da leggere assolutamente.
Poesie sui Cani
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Dick
(Totò)
Tengo ‘nu cane ch’è fenomenale,
se chiama “Dick”, ‘o voglio bene assaie.
Si perdere l’avesse? Nun sia maie!
Per me sarebbe un lutto nazionale.
Ll ‘aggio crisciuto comm’a ‘nu guaglione,
cu zucchero, biscotte e papparelle;
ll’aggio tirato su cu ‘e mmullechelle
e ll’aggio dato buona educazione.
Gnorsì, mo è gruosso. È quase giuvinotto.
Capisce tutto… Ile manca ‘a parola.
è cane ‘e razza, tene bbona scola,
è lupo alsaziano, è polizziotto.
Chello ca mo ve conto è molto bello.
In casa ha stabilito ‘a gerarchia.
Vo’ bene ‘a mamma ch’è ‘a signora mia,
e a figliemo isso ‘o tratta da fratello.
‘E me se penza ca lle songo ‘o pate:
si ‘o guardo dinto a ll’uocchiemme capisce,
appizza ‘e rrecchie, corre, m’ubbidisce,
e pe’ fa’ ‘e pressa torna senza fiato.
Il cane sordo
(Antonia Pozzi)
Sordo per il gran vento
che nel castello vola e grida
è divenuto il cane.
Sopra gli spalti – in lago
protesi – corre,
senza sussulti:
né il muschio sulle pietre
a grande altezza lo insidia,
né un tegolo rimosso.
Tanto chiusa e intera
è in lui la forza
da che non ha nome
più per nessuno
e va per una sua
segreta linea
libero.
Ode al cane
(Pablo Neruda)
Il cane mi domanda
e non rispondo.
Salta, corre pei campi e mi domanda
senza parlare
e i suoi occhi
sono due richieste umide, due fiamme
liquide che interrogano
e io non rispondo,
non rispondo perché
non so, non posso dir nulla.
In campo aperto andiamo
uomo e cane.
Brillano le foglie come
se qualcuno
le avesse baciate
a una a una,
sorgono dal suolo
tutte le arance
a collocare
piccoli planetari
su alberi rotondi
come la notte, e verdi,
e noi, uomo e cane, andiamo
a fiutare il mondo, a scuotere il trifoglio,
nella campagna cilena,
fra le limpide dita di settembre.
Il cane si ferma,
insegue le api,
salta l’acqua trepida,
ascolta lontanissimi
latrati,
orina sopra un sasso,
e mi porta la punta del suo muso,
a me, come un regalo.
È la sua freschezza affettuosa,
la comunicazione del suo affetto,
e proprio lì mi chiese
con i suoi due occhi,
perché è giorno, perché verrà la notte,
perché la primavera
non portò nella sua canestra
nulla
per i cani randagi,
tranne inutili fiori,
fiori, fiori e fiori.
E così m’interroga
il cane
e io non rispondo.
Andiamo
uomo e cane uniti
dal mattino verde,
dall’incitante solitudine
vuota nella quale solo noi
esistiamo,
questa unità fra cane con rugiada
e il poeta del bosco,
perché non esiste l’uccello nascosto,
né il fiore segreto,
ma solo trilli e profumi
per i due compagni:
un mondo inumidito
dalle distillazioni della notte,
una galleria verde e poi
un gran prato,
una raffica di vento aranciato,
il sussurro delle radici,
la vita che procede,
e l’antica amicizia,
la felicità
d’essere cane e d’essere uomo
trasformata
in un solo animale
che cammina muovendo
sei zampe
e una coda
con rugiada.
Il cane notturno
(Giovanni Pascoli)
Nell’alta notte sento tra i queruli
trilli di grilli, sento tra il murmure
piovoso del Serchio che in piena
trascorre nell’ombra serena,
là nell’oscura valle dov’errano
sole, da niuno viste, le lucciole,
sonare da fratte lontane
velato il latrato d’un cane.
Chi là, passando tardo per tacite
strade, fra nere siepi di bussolo,
con l’eco dei passi, in un’aia
destava quel cane, che abbaia?
Parte? ritorna? Lagrima? dubita?
ha in cuor parole chiuse che batton
col suono d’alterno oriuolo?
ha un’ombra, ch’è sola con solo?
Va! Va! gli dice la voce vigile
sonando irosa di tra le tenebre.
Traspare dagli alberi folti
la casa, che sembra che ascolti…
come tra il sonno, chiuse le palpebre
sue grandi… L’uomo dorme, ed un memore
suo braccio, sul letto di foglie,
sta presso la florida moglie.
E dorme nella zana di vetrici
la bimba, e gli altri piccoli dormono.
S’inseguono al buio con ali
di mosche i loro aliti uguali.
Uguali uguali, passano tornano
con ronzìo lieve, dentro le tenebre
cercandosi: e l’anime ancora,
si cercano, sino all’aurora,
per le ignorate lunghe viottole
del sonno; e al fine si ricongiungono;
e scoppia sul fare del giorno
l’allegro vocìo del ritorno.
Qui giacciono i miei cani
(Gabriele D’Annunzio)
Qui giacciono i miei cani
Qui giacciono i miei cani
gli inutili miei cani,
stupidi ed impudichi,
novi sempre et antichi,
fedeli et infedeli
all’Ozio lor signore,
non a me uom da nulla.
Rosicchiano sotterra
nel buio senza fine
rodon gli ossi i lor ossi,
non cessano di rodere i lor ossi
vuotati di medulla
et io potrei farne
la fistola di Pan
come di sette canne
i’ potrei senza cera e senza lino
farne il flauto di Pan
se Pan è il tutto e
se la morte è il tutto.
Ogni uomo nella culla
succia e sbava il suo dito,
ogni uomo seppellito
è il cane del suo nulla.
Carezze al cane
(Paolo Buzzi)
Cane, bontà degli uomini perduta,
o fedeltà di tanti falsi amici,
il mio cuore ti pensa e ti saluta!
Questa vita di tedï e malefici
te la dirò dentr’un’orecchia, o cane,
che i miei segreti ascolti e non li dici.
Le pupille tue fonde e più che umane,
san la mia dolce illusïon caduta.
E la tua testa è calda come un pane…
Oh nella notte il cane
(Sandro Penna)
Oh nella notte il cane
che abbaia di lontano.
Di giorno è solo il cane
che ti lecca la mano.
Er gatto, er cane
(Trilussa)
Un gatto soriano diceva a un barbone:
– Nun porto rispetto nemmanco ar padrone,
perché a l’occasione je graffio la mano;
Ma tu che lo lecchi te becchi le botte:
te mena, te sfotte, te mette in catena
cor muso rinchiuso e un cerchio col bollo
sull’osso del collo.
Seconno la moda te taja li ricci
te spunta la coda… che belli capricci!
Io guarda… so’ un gatto, so’ un ladro, lo dico:
ma a me nun s’azzarda de famme ste cose… –
Er cane rispose:
– Ma io je so’ amico! –
Buongiorno, cani, ciao
(Dino Buzzati)
Buongiorno, cani, ciao
cagnolini cagnolini cagnazzi
misterioso dono della natura
a noi carogne. Perché?
Incantevoli compagni di viaggio
che ci fissate negli occhi
con esagerata.
Belli come boschi come il vento
girano su e giù per la casa
come fiumi come rupi
come nuvole innamorate.
Belli quando ronfate
fate bave spazzate immondizie.
Egoisti, sporchi, noiosi
rompiscatole, puzzolenti, ingordi,
sudicioni, petulanti, tangheri,
Dio vi benedica.
A cuscienza
(Totò)
Tengo nu cane e caccia
bello assaje,
fedele sulo a me
comm’ a tutt’ ‘e cani.
Ma nu difetto ‘o tene mberità
quann’ i auciello sparo,
me guarda cunfuso
e nun ‘o và piglià.
Stu fatto è poco chiaro,
“Ma sì o nun sì nu cane e caccia?
ca ‘e sorde ca me cuoste
putisse pure tenè nu poco e cuscienza!”.
“Nu me fà ridere”
rispunnette ‘o cane,
ca pe nu momento
chi sà comme parlaje.
“Tu me parli e cuscienza,
ma saje ‘o signifecato e sta parola?
già nun ‘o può sapè! Tu l’aje perza
quanno aje accattato stu ribbotto.”
Epitaffio per un cane
(George Gordon Byron)
In questo luogo
giacciono i resti di una creatura
che possedette la bellezza
ma non la vanità,
la forza ma non l’arroganza,
il coraggio ma non la ferocia.
E tutte le virtù dell’uomo
senza i suoi vizi.
Quest’elogio, che non sarebbe che vuota lusinga
sulle ceneri di un uomo,
è un omaggio affatto doveroso alla memoria di
“Boatswain” , un cane che naque in Terranova
nel maggio del 1803
e morì a Newstead Abbey
il 18 novembre 1808.
Quando un fiero figlio dell’uomo
al seno della terra fa ritorno,
sconosciuto alla gloria, ma sorretto
da nobili natali,
lo scultore si prodiga a mostrare
il simulacro vuoto del dolore,
e urne istoriate ci rammentano
l’uomo che giace lì sepolto;
e quando ogni cosa si è compiuta
sul sepolcro noi potremo leggere
non chi fu quell’uomo,
ma chi doveva essere.
Ma il misero cane, l’amico più caro in vita,
che per primo saluta
e che difende ultimo,
che lotta, respira,
vive e fatica per lui solo,
cade senza onori;
e solo col silenzio
è premiato il suo valore;
e l’anima che fu sua su questa terra
gli vien negata in cielo;
mentre l’uomo, insetto vano,
spera il perdono, e per sé solo
pretende un paradiso intero.
O uomo! flebile inquilino della terra per un’ora,
abietto in servitù, corrotto dal potere,
ti fugge con disgusto chi ti conosce bene,
o vile massa di polvere animata!
L’amore in te è lussuria, l’amicizia truffa,
la parola inganno, il sorriso menzogna!
Vile per natura, nobile sol di nome,
ogni animale ti mette alla vergogna.
O tu, che per caso guardi quest’umile sepolcro,
passa e va’ : non è in onore
di creatura degna del tuo pianto.
Esso fu innalzato per segnare
il luogo ove tutto quel che di un amico resta
riposa in pace;
un sol ne conobbi: e qui si giace.
Questione di pelle
(Trilussa)
– Che cane buffo! E dove l’ hai trovato? –
Er vecchio me rispose: – é brutto assai,
ma nun me lascia mai: s é affezzionato.
L’unica compagnia che m’é rimasta,
fra tanti amichi, é ‘sto lupetto nero:
nun é de razza, é vero,
ma m’é fedele e basta.
Io nun faccio questioni de colore:
l’azzioni bone e belle
vengheno su dar core
sotto qualunque pelle.
Il povero ane
(Gianni Rodari)
Se andrete a Firenze
vedrete certamente
quel povero ane
di cui parla la gente.
È un cane senza testa,
povera bestia.
Davvero non si sa
ad abbaiare come fa.
La testa, si dice,
gliel’hanno mangiata…
(La “c” per i fiorentini
è pietanza prelibata).
Ma lui non si lamenta,
è un caro cucciolone,
scodinzola e fa festa
a tutte le persone.
Come mangia? Signori,
non stiamo ad indagare:
ci sono tante maniere
di tirare a campare.
Vivere senza testa
non è il peggior dei guai:
tanta gente ce l’ha,
ma non l’adopera mai!
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